Endro Polido, redattore del National Geographic, vive nel suo eremo a Narbolia. Sognatore di una vita sostenibile, l'ha realizzata partendo dalla sua bio-casa. Un meraviglioso ufo ecologico interrato sulle colline del Sinis. di LORENZO PAOLINI - LEGGI L'ARTICOLO COMPLETO IN EDICOLA SU L'UNIONE SARDA
Potenza dei lupini. Sapeva che i limoni nell'argilla faticano. E poi il vento soffia forte, l'acqua del pozzo è ferrosa. Però voleva, fortissimamente voleva, che l'albero resistesse. «A un certo punto mi sono venute in mente le terrazze delle Cinque Terre. Mia nonna cinquant'anni fa aveva veri e propri agrumeti appesi sulla montagna. Nel solco intorno alla pianta, era pieno di lupini». Endro Polido la considera una visione. Così ha recuperato i legumi, li ha messi in ammollo, poi vai col frullatore a immersione e diversi mucchietti sono stati interrati intorno alla pianta. La scienza può dire se c'è correlazione causa-effetto. Di certo il limone risanato oggi è un trionfo di frutti e foglie verdi. La celebrazione più autentica della giornata della terra (ieri). Il traduttore del National Geographic tira un sospirone di sollievo mentre la vegetazione, letteralmente, esplode. Qualche coordinata geografica: collina alle spalle di Narbolia, davanti una vista che va da Capo Frasca allo stagno di Cabras fino allo specchio di sale di Sal'e porcus alla pineta di Is Arenas. Quando una quindicina d'anni fa questo veneto di Rovigo, cresciuto a La Spezia ed emigrato a Los Angeles, ha eletto domicilio quassù, aveva capito tutto. Col sole di aprile, lo scorcio è imbarazzante. Ma anche sotto la pioggia scrosciante, dietro i vetri del giardino all'inglese, non dev'essere poi malaccio.
ABITARE ECO Da sotto si vede una virgola scura («purtroppo è cemento colorato, volevo fosse terra ma non è stato possibile») che si arrampica sulla collina fino a una sorta di ufo atterrato a metà costone. La casa. «Tutto il progetto è mio, anche se non avevo alcuna competenza. La cupola no. Ma ho dovuto cedere all'architetto che aveva tradotto i miei desideri su carta». Le pietre dello sbancamento ricoprono l'abitazione, una sorta di serra la protegge come una seconda pelle. Sul tetto germina ogni sorta di pianta, gramigna e malva, gerani e margherite. «L'hanno fotografata tante riviste alla voce bioarchitettura. Io non sapevo definire questa casa, biocasa?, ma ero certo di quel che volevo». Tutto ciò che viene in mente, fra gli optional di categoria ecologista-militante, c'è. Solare? Ovvio. Fotovoltaico? Pure. Recupero dell'acqua anche. Ogni stratagemma per il risparmio energetico, qualunque cura per non invadere il paesaggio. Ma l'uomo non è un fanatico cieco e vira dalla poesia alla prosa: «Queste tecnologie sono riservate a pochi. Tutto costa troppo, è bello pensare all'autosufficienza ma bisognerebbe dar modo alla gente di poterselo permettere. E oggi, mi spiace, non si può».
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